BASILICA DI SANTA CROCE
Una netta linea di divisione tra i due ordini è costituita dalla lunga balaustra in pietra leccese sorretta da cariatidi zoomorfe e antropomorfe dal forte significato simbolico. Tra queste figure troviamo rappresentazioni di Turchi, in ginocchio, costretti a star piegati e sentire tutto il peso della cristianità. Il significato simbolico della facciata viene infatti collegato da molti studiosi alla vittoria di Lepanto del 1571 e al grande trionfo del Cristianesimo. Tredici puttini corrono lungo tutta la balaustra, due reggono, anche qui con forte significato simbolico, una tiara e una corona. Al centro il grande rosone, opera di Cesare Penna, formato da quattro cornici concentriche con testine di angeli alati, di fiori di loto, di frutta. In alto, a destra e a sinistra del rosone, in un cartiglio retto da un leone, la data di ultimazione dei lavori 16 46, che erano iniziati quasi un secolo prima, nel 1549. Ai lati, all’interno di nicchie, le statue di San Benedetto a destra e di San Celestino a sinistra (al di sopra della nicchia l’epigrafe “Cesare Penna di Lecce scolpiva”), fondatore dell’Ordine al quale appartenevano la chiesa e il convento. Alle estremità le statue della Fede e della Fortezza.
Completa il prospetto della chiesa il ricco fastigio, realizzato nella seconda metà del XVII secolo da Giuseppe Zimbalo, che reca lo stemma dei Celestini che incorpora una croce, simbolo del trionfo della Chiesa.
Un particolare elemento architettonico presente nell’angolo destro della facciata riccardiana e ripetuto nell’architettura del Sedile, è la colonna ingabbiata, che qui assume il significato simbolico di reliquia. Inserita in un pilastro-reliquiario, rappresenta la colonna di fuoco che, secondo la tradizione, apparve nel cielo di Lepanto per guidare l’armata cristiana.
L’interno, progetto di Gabriele Riccardi, è a croce latina e a tre navate divise da sedici alte colonne con capitelli figurati, il cui fiore centrale si apre con una testina di apostolo. Quattro le colonne binate che reggono gli archi della cupola, che mostrano i volti dei quattro Evangelisti. Un soffitto ligneo a cassettoni dorati, rifatto nell’800, copre la navata centrale e presenta al centro, sormontata dagli stemmi di Celestino a sinistra e dell’ordine dei Celestini, la tela della Trinità (1833) di Giovanni Grassi. Le laterali hanno volta a crociera e ospitano sette cappelle per lato di epoca diversa. Da notare l’originale disegno della cupola (1590), aperta all’incrocio del transetto su archi che recano i simboli degli evangelisti.
L’altare centrale in marmo, molto semplice, proviene dalla chiesa dei Santi Niccolò e Cataldo.
L’altare più interessante è quello di San Francesco da Paola, nel transetto di sinistra, opera di Francesco Antonio Zimbalo. Attraverso una serie di pannelli, vengono narrati alcuni episodi della vita del santo e alcune scene della presa di Otranto. Nel transetto di destra vi è l’altare del Crocefisso di Cesare Penna. Tra i dipinti si notino nella 2° cappella a destra Adorazione dei Pastori, di G. B. Lama e, nella cappella a destra del presbiterio, la Trinità di Gianserio Strafella (metà XVI ).
A fianco dellla chiesa si eleva il Convento dei Celestini, oggi sede di uffici della Provincia e della Prefettura. La facciata è divisa in due ordini: il primo fu realizzato da Giuseppe Zimbalo, il secondo da Giuseppe Cino. Il palazzo, disegnato da Gabriele Riccardi, è costituito da un ampio quadriportico su colonne con volte a crociera. Nel XIX secolo, in periodo neoclassico, il palazzo viene ristrutturato e alle colonne cilindriche del Seicento se ne aggiungono altre di forma quadrata. Il chiostro del convento è collegato alla chiesa da un bel portale del Cinquecento realizzato da Gabriele Riccardi.
CURIOSITÀ: Le “faccette” di Santa Croce
Persi all’interno della decorazione del secondo ordine che circonda il grande rosone centrale, alcuni volti fanno capolino dagli elementi ornamentali, confondendosi tra i fiori, i frutti, i tralci vegetali. Sono le cosiddette faccette di Santa Croce: un uomo con un grosso nasone, rivolto verso sinistra, è forse quello più visibile. Si trova immediatamente a sinistra del rosone centrale e il profilo è collocato al termine della foglia che parte dal fiore collocato in basso a sinistra. Lo stesso volto, rivolto questa volta verso l’alto, spunta dall’altra parte, a destra del rosone, nella medesima posizione. Con barba e baffi è invece una seconda figura, collocata in alto a destra del rosone, proprio davanti al leone che regge il cartiglio con scolpite le cifre 46. Altri volti, in alcuni casi con tratti poco umani si possono scoprire osservando con attenzione, e con la luce giusta, l’intricata decorazione. Chi sono questi personaggi che hanno voluto lasciare i propri tratti impressi nella pietra di una delle chiese più importanti di Lecce? La risposta più semplice, e forse la più attendibile, è che siano proprio gli autori di questa splendida decorazione ad aver lasciato la loro firma. Si dice allora che il personaggio dal grosso nasone sia proprio Cesare Penna, l’autore del rosone, mentre il volto con la barba sarebbe francesco Antonio Zimbalo. Non ci sono prove inconfutabili di queste attribuzioni, ma risulta plausibili che, consci dellla notorietà che questa costruzione avrebbe conosciuto, gli autori abbiano voluto firmare il loro capolavoro.